Voglio
la Stefania. E a chi mi dice che non è una novità, rispondo che la
Stefania non è mica una persona! E' una convention: l'esito migliore
per un convegno d'opposizione.
Ma
andiamo per passaggi. Punto A: cos'è una convention?
E'
un assemblea, molto in voga negli USA, importata in Italia come
succede per tutto. Altro prodotto di importazione è l'uso delle
primarie, ad esempio.
In
America la convention dei Democratici è il grande momento in cui i
delegati votano e designano il leader del partito, che ottiene la
nomination. E siccome non siamo all'Isola dei Famosi, ricevere la
nomination non è una cosa sgradita.
Curioso
è che la parola inglese “convention” ha origine nel latino
“conventio”, derivato del verbo “convenio”, che significa
“riunirsi, incontrarsi”. Stessa origine ha l'italiano “convegno”.
Tralasciando la mia recente passione per la storia della lingua,
possiamo notare come noi italiani siamo fortissimi nell'import-export
- lo diranno anche a EXPO 2015 - esportiamo parole e pratiche
politiche perché ci sembrano noiose, ma quando queste tornano
indietro ci appaiono faighe e cool.
Andiamo
al Punto B: come si fa una convention in Italia?
Facendo
scena, ovviamente. Il modello principale è la Leopolda dei Renziani
(democratici?). Ci si vede a Firenze, alla ex stazione Leopolda (oggi
è una semplice sala congressi), con gli amici che vengono da tutta
Italia. Per gli uomini è un must la camicia bianca, le donne hanno
una scelta più ampia, basta che l'esito sia una cosa gnocca.
Dalle
giovani dirigenti carine e piacenti, il microfono passa ai simpatici
amministratori locali, per poi finire nelle mani di un famoso
scrittore impegnato (a far che?), di un regista che combatte la mafia
a colpi di caramelle e, quasi alla fine, di un finanziere, il
soggetto più rappresentativo. Costui non produce niente di
materiale, ma si è costruito un impero speculando in borsa. Un
esempio.
Infine
prende la parola Matteo Renzi: esalta la platea con delle frasi a
effetto, fa largo uso di retorica renziana, usa il proprio carisma
per convincerti che non hai sprecato i soldi del viaggio. E ci
riesce.
Così
la Leopolda diventa un modello per tutti. E poco importa che questa
convention non serve a nominare un leader bensì è il leader stesso
a convocarla.
Veniamo
quindi al Punto C, quello perfetto: Voglio la Stefania.
Adesso
in Sicilia sono di moda le conventions. Per non sentirmi inferiore a
nessuno, io lancio la mia Leopolda, di lotta e di governo.
Il
nome ormai l'avrete capito. La scelta di un nome femminile è di
Renzi, che questo giochetto lo conosce bene. Il nome di donna è
evocativo, esotico e parla a una parte ben definita del nostro
cervello. Fa sangue. Ha l'effetto di renderti tanto entusiasta e
tanto aggressivo, come lo saresti davanti a un piatto di pasta. E'
Stefania, ma potrebbe essere Giulia, Roberta, Marta o Luana. Insomma,
il trucco è svelato.
Dal
successo dell'evento potrebbero scaturire delle locuzioni, che
diverrebbero proverbiali negli anni e venire. “Vengo alla
Stefania”, “Stefania time”, “Stefania per sempre”. E così
via.
Nel
film “Eroe per caso” (1992), Dustin Hoffman spiega al figlio che
la verità non esiste (povero Gramsci!), esistono solo le stronzate.
Ognuno di noi sceglie le stronzate che preferisce, le quali
diventeranno “le sue stronzate” per tutta la vita. Scegliamo
quindi stronzate di sinistra.
Alla
camicia bianca renziana si può rispondere con camicie colorate, o
magari con la sciarpa wipala (arcobaleno). Agli U2 si può opporre la
musica de I Cento Passi (MCR). L'estetica è okay, non fa male né
all'occhio né all'ideale.
Faremo
intervenire una precaria della Scuola, dolce e piacente, che farà
palpitare i nostri cuori parlando dei disagi dei bambini e
dell'incertezza nel lavoro della maestra. O magari parlerà una
professoressa di scuola superiore che catturerà la nostra attenzione
impersonando l'archetipo della supplente gnocca. Ma in nessuno dei
casi – dico mai! – parli male del sindacato, perché la
segreteria della CGIL è come un comando generale: lì nessuno
sbaglia.
Poi
daremo la parola ad un esponente del No Muos. Che non sia però uno
di quei ragazzi scalmanati dei centri sociali che tagliano le
recinzioni e si scontrano coi carabinieri. Deve essere un semplice
cittadino di Niscemi, buono, buonista e forte dei suoi buoni
propositi.
Chiameremo
sul palco un portavoce delle organizzazioni omosessuali. Trans,
magari. Ci parlerà dell'amore e della libertà di amarsi. Ma che
abbia toni calmi e rassicuranti e non sia vestita come lo sarebbe per
un gay pride, misericordia! Dalla platea, qualcuno dovrà commentare
- “Che trans normale!” - convinto di essere di fronte a un
ossimoro e non alla semplice realtà.
E
alla fine salirà sul palco il leader. Ma quale leader?
Sì,
quel tizio carismatico e affascinante del quale ci fidiamo tutti.
Quello che ci convincerà che lo spettacolo vale il prezzo del
biglietto, quello che salirà sul palco indossando una camicia, una
felpa o una sciarpa spingendoci tutti ad andare al negozio a
comprarne una, solo per imitarlo.
Quel
leader non c'è. Potrebbe trovarsi a Messina o nel Calatino, o magari
anche a Rotterdam, chissà. Potrebbe anche non esistere. Chissà.
Però
ci serve.
Perché
le convention all'italiana si fanno così: con un grande capo, tanti
modelli simpatici e una folla di persone che si vogliono bene. Senza
conflitto sociale né orgoglio di genere. Tutti riuniti a celebrare
un uomo.
La
migliore delle Leopolda possibili è la Stefania. Ma neanche Stefania
è perfetta. E questa orribile, nuova consapevolezza mi lascia
smarrito e disorientato, tanto che non so più nemmeno io cosa sono e
cosa voglio. Che ne sarà di me?