giovedì 12 marzo 2015

VOGLIO LA STEFANIA

Voglio la Stefania. E a chi mi dice che non è una novità, rispondo che la Stefania non è mica una persona! E' una convention: l'esito migliore per un convegno d'opposizione.

Ma andiamo per passaggi. Punto A: cos'è una convention?

E' un assemblea, molto in voga negli USA, importata in Italia come succede per tutto. Altro prodotto di importazione è l'uso delle primarie, ad esempio.
In America la convention dei Democratici è il grande momento in cui i delegati votano e designano il leader del partito, che ottiene la nomination. E siccome non siamo all'Isola dei Famosi, ricevere la nomination non è una cosa sgradita.

Curioso è che la parola inglese “convention” ha origine nel latino “conventio”, derivato del verbo “convenio”, che significa “riunirsi, incontrarsi”. Stessa origine ha l'italiano “convegno”. Tralasciando la mia recente passione per la storia della lingua, possiamo notare come noi italiani siamo fortissimi nell'import-export - lo diranno anche a EXPO 2015 - esportiamo parole e pratiche politiche perché ci sembrano noiose, ma quando queste tornano indietro ci appaiono faighe e cool.

Andiamo al Punto B: come si fa una convention in Italia?

Facendo scena, ovviamente. Il modello principale è la Leopolda dei Renziani (democratici?). Ci si vede a Firenze, alla ex stazione Leopolda (oggi è una semplice sala congressi), con gli amici che vengono da tutta Italia. Per gli uomini è un must la camicia bianca, le donne hanno una scelta più ampia, basta che l'esito sia una cosa gnocca.

Dalle giovani dirigenti carine e piacenti, il microfono passa ai simpatici amministratori locali, per poi finire nelle mani di un famoso scrittore impegnato (a far che?), di un regista che combatte la mafia a colpi di caramelle e, quasi alla fine, di un finanziere, il soggetto più rappresentativo. Costui non produce niente di materiale, ma si è costruito un impero speculando in borsa. Un esempio.

Infine prende la parola Matteo Renzi: esalta la platea con delle frasi a effetto, fa largo uso di retorica renziana, usa il proprio carisma per convincerti che non hai sprecato i soldi del viaggio. E ci riesce.
Così la Leopolda diventa un modello per tutti. E poco importa che questa convention non serve a nominare un leader bensì è il leader stesso a convocarla.

Veniamo quindi al Punto C, quello perfetto: Voglio la Stefania.

Adesso in Sicilia sono di moda le conventions. Per non sentirmi inferiore a nessuno, io lancio la mia Leopolda, di lotta e di governo.

Il nome ormai l'avrete capito. La scelta di un nome femminile è di Renzi, che questo giochetto lo conosce bene. Il nome di donna è evocativo, esotico e parla a una parte ben definita del nostro cervello. Fa sangue. Ha l'effetto di renderti tanto entusiasta e tanto aggressivo, come lo saresti davanti a un piatto di pasta. E' Stefania, ma potrebbe essere Giulia, Roberta, Marta o Luana. Insomma, il trucco è svelato.

Dal successo dell'evento potrebbero scaturire delle locuzioni, che diverrebbero proverbiali negli anni e venire. “Vengo alla Stefania”, “Stefania time”, “Stefania per sempre”. E così via.

Nel film “Eroe per caso” (1992), Dustin Hoffman spiega al figlio che la verità non esiste (povero Gramsci!), esistono solo le stronzate. Ognuno di noi sceglie le stronzate che preferisce, le quali diventeranno “le sue stronzate” per tutta la vita. Scegliamo quindi stronzate di sinistra.

Alla camicia bianca renziana si può rispondere con camicie colorate, o magari con la sciarpa wipala (arcobaleno). Agli U2 si può opporre la musica de I Cento Passi (MCR). L'estetica è okay, non fa male né all'occhio né all'ideale.

Faremo intervenire una precaria della Scuola, dolce e piacente, che farà palpitare i nostri cuori parlando dei disagi dei bambini e dell'incertezza nel lavoro della maestra. O magari parlerà una professoressa di scuola superiore che catturerà la nostra attenzione impersonando l'archetipo della supplente gnocca. Ma in nessuno dei casi – dico mai! – parli male del sindacato, perché la segreteria della CGIL è come un comando generale: lì nessuno sbaglia.

Poi daremo la parola ad un esponente del No Muos. Che non sia però uno di quei ragazzi scalmanati dei centri sociali che tagliano le recinzioni e si scontrano coi carabinieri. Deve essere un semplice cittadino di Niscemi, buono, buonista e forte dei suoi buoni propositi.

Chiameremo sul palco un portavoce delle organizzazioni omosessuali. Trans, magari. Ci parlerà dell'amore e della libertà di amarsi. Ma che abbia toni calmi e rassicuranti e non sia vestita come lo sarebbe per un gay pride, misericordia! Dalla platea, qualcuno dovrà commentare - “Che trans normale!” - convinto di essere di fronte a un ossimoro e non alla semplice realtà.

E alla fine salirà sul palco il leader. Ma quale leader?
Sì, quel tizio carismatico e affascinante del quale ci fidiamo tutti. Quello che ci convincerà che lo spettacolo vale il prezzo del biglietto, quello che salirà sul palco indossando una camicia, una felpa o una sciarpa spingendoci tutti ad andare al negozio a comprarne una, solo per imitarlo.

Quel leader non c'è. Potrebbe trovarsi a Messina o nel Calatino, o magari anche a Rotterdam, chissà. Potrebbe anche non esistere. Chissà.
Però ci serve.

Perché le convention all'italiana si fanno così: con un grande capo, tanti modelli simpatici e una folla di persone che si vogliono bene. Senza conflitto sociale né orgoglio di genere. Tutti riuniti a celebrare un uomo.


La migliore delle Leopolda possibili è la Stefania. Ma neanche Stefania è perfetta. E questa orribile, nuova consapevolezza mi lascia smarrito e disorientato, tanto che non so più nemmeno io cosa sono e cosa voglio. Che ne sarà di me?